Salvati tu che hai un sogno by Cherif Karamoko Giulio Di Feo & Giulio Di Feo

Salvati tu che hai un sogno by Cherif Karamoko Giulio Di Feo & Giulio Di Feo

autore:Cherif Karamoko, Giulio Di Feo & Giulio Di Feo [Karamoko, Cherif & Di Feo, Giulio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-12-17T12:00:00+00:00


29

Devo andare avanti. Me lo ripeto ogni mattina, ciascuna delle tante mattine trascorse in quel palazzo di sofferenza.

Al terzo piano c’è un ragazzo che ha una piccola radio, ogni giorno io e Mory saliamo e ne ascoltiamo un po’: musica o notizie, ci fa rilassare. A un certo punto il radiogiornale annuncia il naufragio di una barca di migranti ma Mory non fa nemmeno finire la frase: allunga la mano e spegne l’apparecchio, girando la rotellina mentre è ancora in mano a quell’altro. Quando la radio è spenta mi guardo intorno e penso.

Rivedo ancora tante volte la stessa scena: due Falchi arrivano, prendono uno che sta male e lo portano via. Succede tutti i giorni, e così di frequente che quasi non mi impressiona più. La gente che si trova lì viene da ogni parte dell’Africa, ma è diffidente, scontrosa, malata o semplicemente troppo distrutta anche solo per parlare. Ogni tanto qualcuno viene portato verso il mare, in gruppi, e la cosa ci dà speranza, sappiamo che prima o poi toccherà anche a noi.

Quando tocca a noi, ancora una volta ci svegliano di notte. Stavolta però è meno fastidioso, visto che tanto, tra lamenti e insetti che ti camminano addosso, in quel posto si dorme poco. Il Falco ci porta fuori, e vediamo subito un camion gigantesco, di quelli che si usano nell’edilizia, con una scaletta dietro. Sembra un drago di metallo, e saliamo nella sua pancia uno per uno, siamo una cinquantina. Quando è pieno, ci coprono con un telone e mettono in moto.

Dopo circa un’ora di cammino il camion si ferma, qualcuno toglie il telone e ci ritroviamo su una collina. Ci sono un paio di baracche e un grosso recinto, come quello in cui si tengono gli animali. È lì dentro, nel recinto, che ci portano. Non è coperto, e me ne accorgo cinque minuti dopo perché si mette a piovere e la terra sotto i piedi diventa subito fango. Anche qui ci sono solo cianfrusaglie sparse, per evitare di sdraiarsi a dormire nelle pozze che iniziano a formarsi la gente si appoggia alla rete o ai bidoni dell’acqua. Da un lato della rete non ci sono alberi, e la vista si apre. Siamo in alto rispetto alla città, in lontananza l’orizzonte ondeggia e ogni tanto si accende di piccole luci. È il mare, davanti a noi, a pochi chilometri.

Il Falco che ci ha scaricati è in vena di chiacchiere. È giovane, non arriva a vent’anni, ha i ricci che gli cadono ai lati della testa e un sorriso ingenuo. «Questa è l’ultima tappa. Da qui vi muoverete solo per andare verso il mare. Toccherà a un gruppo solo quando sapremo che quello di prima è partito tranquillo. Non ci vorranno molti giorni, e passeranno in fretta se state buoni senza fare casino.»

Mory rallenta il passo così da entrare per ultimo nel recinto, si avvicina a lui e gli sussurra a bassa voce, in arabo: «Come si fa per mangiare bene qui? Devo pagarti?».

Il Falco ride. «Qui il cibo non ti manca, amico.



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